martedì 28 agosto 2007

Qual è il grado di autonomia dell’individuo nella costruzione del sé nell’era della globalizzazione?

Il concetto di sé può essere definito come il complesso delle valutazioni e delle sensazioni dell’individuo relative a se stesso. Esso riguarda non soltanto la percezione di sé in termini fisici o affettivi, ma anche la considerazione degli altri, e cioè dell’immagine che riteniamo di proiettare sulle altre persone. Inoltre riguarda sia gli aspetti positivi, di cui andiamo orgogliosi, sia quelli negativi, che preferiremmo non trasparissero troppo.

Il concetto di sé possiede una propria coerenza complessiva ed è relativamente stabile, almeno nel breve periodo. Ciò significa che l’individuo affronta i vari aspetti della vita quotidiana in modo tendenzialmente coerente con la consapevolezza che ha di se stesso e cercando di mantenere un’immagine stabile nei confronti degli altri. Ciò costituisce una parziale fonte di inerzia e di rigidità nel suo comportamento, nella misura in cui si sforza di rendere coerente quello che fa con quello che pensa di sé e con l’immagine che vuole trasmettere all’esterno[1].

Il concetto di sé può avere un impatto significativo sul comportamento del consumatore, in quanto spesso responsabile della considerazione e della valutazione dei prodotti, delle marche e dei punti vendita. Ad esempio, la valutazione positiva di certe marche può dipendere dal fatto che il loro uso venga considerato coerente con l’immagine che abbiamo e che vogliamo comunicare di noi stessi. Inoltre è possibile che alcuni prodotti siano preferiti non in quanto si adattino alla nostra immagine attuale, ma poiché corrispondono ad un concetto di noi stessi che vorremmo avere e proiettare sugli altri.

L’interazione col prossimo fa sì che il nostro self concept sia continuamente sottoposto a valutazione. Se la risposta degli individui è positiva l’individuo si sente tranquillo e la sua autostima cresce. Viceversa, se le reazioni degli altri sono negative o non soddisfacenti, l’autostima diminuisce e l’individuo cerca di modificare la propria immagine. Nonostante gli individui oggi siano sempre più autonomi, individualisti e consapevoli, l’influenza degli altri e dell’ambiente esterno opera, ancora, attivamente nella costruzione dei loro sé. I consumatori sono autonomi nell’atto della scelta degli oggetti, delle forme di acquisto ed appropriazione, ma non lo sono nella ricerca di questi, nella volontà di conoscere alternative di consumo più vicine al proprio “essere”. I consumatori sono, sempre più, i bersagli di coloro che comunicano messaggi “di scelte”, “di nuove necessità”, “di nuovi trend”, che loro faranno propri, ma che loro stessi non hanno voluto in principio e che non hanno cercato. I consumatori sono cercati per essere continuamente “adattati” all’evoluzione della società di cui fanno parte.

Il fenomeno della globalizzazione ha reso i consumatori più “bersagli”: più stimoli dalle diverse culture che si intrecciano, dalle diverse “tipicità umane” e di consumo esistenti nel mondo. Bauman in una recente intervista[2] addita i new media[3] come veicoli principali dei nuovi ed innumerevoli stimoli, ritenendoli causa dello sviluppo del “caleidoscopio delle mutevoli identità sociali”[4]. I new media hanno sviluppato nei consumatori una “onnivora insaziabilità culturale”[5] a tal punto da trattare il mondo come un “gigantesco grande magazzino con scaffali colmi delle offerte più svariate”[6]. Questo effetto di “extraterritorialità virtuale”[7], l’essere ovunque non essendoci fisicamente, si ottiene, secondo il sociologo, sincronizzando a livello planetario gli spostamenti dell’attenzione e gli oggetti di tali spostamenti. “Milioni, centinaia di milioni di persone guardano e ammirano le stesse star del cinema o le stesse celebrità della musica pop, si spostano all’unisono dall’heavy metal al rap, dai pantaloni svasati alle scarpe da ginnastica all’ultimo grido, si scagliano contro lo stesso nemico pubblico (globale), temono lo stesso cattivo (globale) e applaudono lo stesso salvatore (globale).”[8]

La pubblicità, nel suo essere per definizione divulgazione, diffusione tra il pubblico di dati, informazioni, fatti o simili, è l’oggetto dei new media, i quali la veicolano ovunque. Essa non ha mai risposto soltanto passivamente ai cambiamenti dei media, ma in molti casi si è trasformata in un fattore attivo del loro cambiamento. I pubblicitari sono stati attivi lobbisti nella commercializzazione dei media e nel favorire una loro riorganizzazione affinché seguissero i loro propri bisogni e orientamenti. All’incirca dopo il 1965 la pratica pubblicitaria si adatta alle condizioni multimediali del presente mercato. La stessa televisione è indotta ad individuare specifici tipi di pubblico richiesti dalle aziende committenti per poter competere con altri media che forniscono un accesso migliore a mercati locali e specializzati. La pubblicità è ora vista come una parte del marketing mix piuttosto che come la strada maestra nella promozione del consumo e le agenzie pubblicitarie abbracciano la gestione del marketing, una filosofia che comprende un’intera serie di procedure di ricerche di marketing e statistiche all’interno della preparazione delle campagne pubblicitarie. Questi pacchetti statistici si concentrano non sulla personalità, ma sulle attività dei differenti sottogruppi di consumatori, fornendo delle analisi sul loro utilizzo dei media, le loro preferenze di consumo ed i loro atteggiamenti e stili di vita. I risultati delle ricerche di marketing diventano le basi per le decisioni sul design e sull’acquisto dei media, permettendo così all’agenzia di formulare campagne di marketing indirizzate con precisione a particolari gruppi di compratori. Non ha senso rivolgere costosi messaggi televisivi a coloro che una qualsiasi ricerca sensata rivela essere destinati e determinati a rimanere indifferenti.

E' importante sottolineare come, oggi, non sia più opportuno parlare di consumo , di massa, come avveniva qualche decennio fa quando nasceva e si sviluppava anche nel nostro paese un processo di industrializzazione, e ciò per alcune ragioni essenziali: la pluralità di offerte che il sistema dell'industria attualmente propone; il crescente sviluppo tecnologico e la continua diffusione dei new media; la sempre maggiore segmentazione e frammentazione del pubblico. Infatti, secondo McQuail[9], oggi grazie alle maggiori opportunità di scelta di tipologie specifiche di contenuto offerte dai nuovi canali di distribuzione, si sono creati pubblici sempre più segmentati, omogenei al loro interno, e frammentati ovvero dispersi su un numero sempre crescente di fonti mediali. L'emergere della dimensione edonistica e di un nuovo sentimento tribale danno vita ad un'etica dell'estetica che vede nella comune fruizione di prodotti mediatici, nella condivisione di pratiche di consumo e di peculiari codici espressivi la matrice del legame sociale. Ispirandosi al pensiero di Maffesoli[10] è possibile sostenere che nell'epoca attuale si può scorgere l'esistenza di “tribù di consumo”, intendendo con tale espressione sottogruppi sociali che si autoselezionano sulla base di un interesse condiviso relativo ad una stessa classe di prodotto, una marca o un'attività di consumo. La società contemporanea tende sempre più a configurarsi come una “società mediale”, ovvero come una società in cui i media diventano un vero e proprio “ambiente di vita”, che dà forma alle esperienze cognitivo-emotive e socio-relazionali di individui e gruppi umani. Il consumo viene inteso come una pratica sociale dentro cui poter “leggere” complesse dinamiche di identificazione-proiezione che afferiscono al più articolato processo di costruzione dell'identità.

Nell’ipotesi che ciascuno sia inserito in una rete sociale di rapporti cui partecipa in termini di co-costruzione dei significati e pratiche di consumo, quest’ultime convergono in un unico “progetto” che è il divenire del soggetto, il realizzarsi e l'attualizzarsi dell'immagine del sé e del mondo. La condizione giovanile è un “prodotto” socio-culturale, oltre che una condizione biologica, rispetto alla quale le pratiche comunicative e di consumo fungono da veri e propri “habitat formativi”. Nel contesto di questo inedito scenario, i giovani crescono a stretto contatto con le molteplici sollecitazioni derivanti da un ricco e diversificato universo multimediale, sperimentando esperienze che vanno ben al di là di quelle che sono state considerate, fino a qualche tempo fa, “normali” esperienze di vita. Il passaggio dall'esperienza diretta delle cose alla loro rappresentazione contribuisce ad allargare a dismisura lo spettro esperienziale di ciascuno, anche se in una dimensione sempre più virtuale.
Nel corso degli ultimi decenni, il crescere della differenziazione non solo e non tanto strutturale (ovvero come moltiplicazione degli ambiti sociali), quanto piuttosto simbolica (ovvero come moltiplicazione dei codici e dei modelli culturali di riferimento) ha fatto emergere una pluralità di raggruppamenti sociali, trasversali alle tradizionali variabili socio-economiche, ai quali il soggetto aderisce spontaneamente, e che si basano sulla condivisione di valori, opinioni, atteggiamenti e comportamenti. Una peculiarità che contraddistingue oggi il soggetto è la graduale e progressiva sperimentazione di un inedito senso di libertà, al quale tuttavia è associato un altrettanto graduale e progressivo sgretolamento delle certezze, conseguente alla scomparsa di centri forti di identificazione e appartenenza sociale. Il contenuto simbolico dei prodotti della comunicazione (musica, cinema, televisione, letteratura, arti visive) funge da specchio per riflettere e confrontarsi con una realtà complessa come quella giovanile. Per questo è interessante guardare al rapporto tra i prodotti, o meglio all'offerta seduttiva e seducente dei prodotti, ed i “prosumatori”[11], i giovani: un rapporto nel quale viene individuata la necessità reciproca di dialogare, di intendersi, di attrarsi. Se si intende il consumo come una pratica regolata da un rapporto, si riconosce come, proprio attraverso il consumo, si costruisca uno spazio in cui dimensione individuale e dimensione sociale si incrociano. Lo spazio mediale è quindi proposto come vero e proprio spazio di transizione, in cui si inscrivono anche l'essere e il divenire dei giovani.

La centralità del consumo giovanile impone all’aziende assoluta vigilanza sui prodotti e i fenomeni che interessano l’universo giovanile, non solo per la capacità di spesa che essi possiedono, ma perché il modello di consumo prevalente è, oggi, centrato proprio sul consumo giovanile. La moda, nel corso degli ultimi decenni, ha acquistato sempre maggiore importanza presso i giovani; se negli anni Sessanta i ragazzi puntavano più che altro a distinguersi dalla “corrotta e comunista” società borghese, utilizzando abiti semplici e poveri (l’eschimo, i jeans, le minigonne), oggi, invece, la moda tra i giovani copre un ventaglio d’interessi e di motivazioni più ampio. L’immagine corporea ed i vestiti sono un elemento di supporto nel processo d’integrazione del sé; il tentativo è quello d’appoggiarsi ad oggetti esterni per facilitare l’emergere di rappresentazioni di una parte di sé, cui si sta cercando di dare più valore ed importanza.

Così come la definisce Barthes[12], si parla di moda tutte le volte che un consumo non è motivato da questioni funzionali; è un meccanismo generale che regola il nostro mercato delle merci e la produzione di plus-valore. Il sistema della moda mira ad ottenere una dinamica di appartenenza-differenziazione rispetto all’habitat sociale circostante, introducendo un coefficiente di novità all’interno di un sistema di segni fondamentalmente stabile.
I prodotti moda non soddisfano dei bisogni personali quanto piuttosto dei “non-bisogni” sociali: non si acquista un vestito, un paio di scarpe o un profumo perché si deve soddisfare una necessità primaria, ma lo si fa perché quel vestito, quelle scarpe e quel profumo appartengono all’aspirazione di realizzare un proprio desiderio inespresso.

L’ attenzione dei media e del mercato tende a normalizzare gli stili giovanili e la loro trasgressività diminuisce al crescere della loro diffusione. Il “nuovo giovane” non è più identificabile con uno stile di vita; egli tende ad identificarsi con un mondo che cambia e, quindi, il suo modo d’intendere l’abbigliamento è mutevole. Il consumatore delle nuove generazioni è più assimilabile al consumatore adulto che anzi tende ad imitarlo, assecondando un’identificazione che diviene trasversale alle diverse generazioni. Il mercato del consumo giovanile tende ad espandersi incredibilmente e gli stili che una volta identificavano le diverse generazioni tendono a confondersi a e integrarsi (il vestito formale è alternato ai jeans). L’abito non è più identificazione delle variabili strutturali dell’individuo (classe, status sociale, cultura, ecc.) ma diventa la manifestazione di un momento, la possibilità di rivelare un aspetto della propria multi-identificazione. Il giovane è oggi un consumatore trasversale che acquista prodotti di fasce di prezzo diverse e da canali distributivi diversi; lo stesso crescere di un’offerta di prodotto basico di fascia alta, per esempio, nasce dall’esigenza di identificarsi con modelli di consumo sofisticati, pur non abbandonando capi che appartengono alle radici del mondo giovanile. La centralità del consumo giovanile nel modello di consumo prevalente ha fatto sì che le aziende di moda fossero sempre più attente ai prodotti destinati alle nuove generazioni e ai fenomeni che le attraversano, non solo per il valore di spesa che essi rappresentano, ma anche per la loro importanza sul fronte promozionale. L’aziende di moda e il sistema nel complesso, non possono non considerare le scelte commerciali del consumo giovanile che tende sempre più ad ampliarsi, non per un fatto demografico quanto per un fenomeno culturale che porta a prolungare la giovinezza degli individui e quindi a rendere meno evidente il confine tra chi è giovane e chi no.



[1] Si tenga presente che il concetto di sé è in parte auto referenziale, in quando l’individuo tende ad interpretare gli stimoli ambientali in modo che assecondino le convinzioni e le valutazioni già consolidate. In pratica ciò significa che le nuove informazioni vengano acquisite e integrate nel concetto di sé se sono coerenti con esso. Se ciò non avviene le nuove informazioni possono essere alterate o rifiutate, onde evitare problemi di coerenza o sintonia con l’immagine che abbiamo di noi stessi.

[2] Cfr. Bauman Z. (a cura di Vecchi B.), Intervista sull’identità, Editori Laterza, Bari, 2006, pp. 95-99.

[3]New media refers to new forms of human and media communication that have been transformed by the creative use of technology to fulfill the same basic social need to interact and transact. New media is also closely associated with the term ‘Web 2.0’ which refers to a proposed second generation of Internet-based services - such as social networking sites and wikis - that emphasise online collaboration and sharing among users.” Dictionary of Information Science and Technology, IGI Global, New York, 2006.

[4] Bauman Z. (a cura di Vecchi B.), Intervista sull’identità, Editori Laterza, Bari, 2006, p. 95.

[5] Ibidem.

[6] Ibidem.

[7] Ibidem, p.97.

[8] Ibidem.

[9] Cfr. McQuail D., Analisi dell’audience, Il Mulino, Bologna, 2001.

[10] Cfr. Maffesoli M., Il tempo delle tribù. Il declino dell’individualismo nelle società postmoderne, Guerini e Associati, Milano, 2004.

[11] Pro-sumatore è una nuova dimensione del con-sumatore. Il neologismo si basa sull’afferenza della particella “pro” con il concetto di “vantaggio, favore, giovamento, utilità”. Esprime il concetto di un nuovo consumatore propenso a dimensioni ludiche, edonistiche e personalizzate dell’atto di scelta ed acquisto. Per questo, sono soprattutto i giovani ad essere pro-sumatori.

[12] Barthes R., Sistema della moda, Einaudi, Torino, 19270.

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