venerdì 3 agosto 2007

Il consumo come forma di comunicazione

Strumento necessario per cogliere la complessità del mondo odierno è sicuramente l’analisi dei comportamenti di consumo, carattere ormai proprio di ogni aspetto della vita quotidiana e fenomeno unificante della società post-moderna.

Il consumo si afferma pienamente come sfera di produzione ed interazione simbolica con l’avvento della cosiddetta società postindustriale, momento in cui l’uso simbolico degli oggetti e dei beni di consumo diventa un potente mezzo di comprensione dei processi e dei mutamenti culturali, nonché di partecipazione alla stessa complessità sociale.

La sociologia si è gradualmente avvicinata allo studio degli oggetti e del loro consumo solo in anni più recenti, superando le visioni “apocalittiche[1]” di una società eterodiretta e manipolata attraverso i consumi irrazionali, per approdare ad una concezione più ampia del complesso fenomeno del consumo.

Una prima fase fu quella, secondo la denominazione vebleniana[2], di “consumo vistoso”, che evidenziava la volontà di ostentazione dello status e di differenziazione sociale sottostante il comportamento del consumatore. I beni erano caratterizzati principalmente per la loro qualità, la loro funzione distintiva, e ben poco per la capacità di soddisfare bisogni (valore d’uso). L’oggetto, o meglio il possesso di esso, era visto come valore differenziale, come simbolo della classe sociale acquisita, in altre parole come status symbol. L’esibizione della ricchezza veniva caricata di forza simbolica e comunicativa nell’evidenziare le differenze sociali ed il prestigio dell’élite. L’ agire di consumo si presentava come agire comunicativo, la base della comunicazione dello status sociale attraverso il consumo di beni era costituito dal significato socialmente condiviso attribuito ad alcune classi di oggetti.

Nel corso degli anni Ottanta avvenne una trasformazione culturale che ha introdotto in Italia un nuovo “ideal-tipo” di consumatore post-moderno: avviene la scoperta del valore simbolico dei beni, i quali divengono pienamente capaci di definire, diversamente a quanto avveniva prima, non posizioni sociali ma identità individuali. Le merci non connotano più degli enti collettivi, ma degli stili individuali. Si parla di “consumismo della distinzione[3]”. Il consumo si allarga, diviene capace di riscoprire tutte le valenze simboliche del bene, la fruizione delle cose diviene un fine in sé, una categoria fondante dell’Io. Il rapporto con l’oggetto permette la costituzione di un insieme di significati, di un linguaggio sociale, che consente di scambiare informazioni e di dare ordine e senso all’ambiente socio-culturale[4]. La democratizzazione degli stili di vita abolisce l’identificazione in uno status, rendendolo invece una ricerca di senso personale, incentrata sul sé. Come scrive Fabris[5], il consumatore “ego-riferito” utilizza delle icone sociali per definire il proprio sé. Si è passati dagli status symbol agli style symbol, dall’identificazione in un ceto alla differenziazione simbolica di identità.

Nel decennio scorso predominava l’Io narcisista, che si accompagnava ad un tipo di consumo principalmente “auto-riferito”, che esprimeva l’uso degli oggetti, nella loro valenza simbolica, come proiezioni dell’io[6]:


gli oggetti, in questo tipo di comunicazione, funzionano da amplificatori della personalità individuale, sottolineandone gli aspetti privati, decifrabili unicamente dalla persona che in essa si specchia, o da una ristrettissima cerchia di partners[7].”


Negli anni Ottanta la frammentazione del mercato procede di pari passo con la frantumazione dell’identità e con l’avvento del consumatore multi-dimensionale, nell’ambito di una realtà materiale che non è più segnaletica ma mimica, all’interno della quale gli oggetti ed i prodotti simulano e mimano il valore e la qualità invece di riprodurli.

Con gli anni Novanta cambiano il clima socio-culturale e le condizioni economiche e si verifica un’importante svolta nel consumo: si diffonde un atteggiamento più maturo, imperniato sulla costruzione di un progetto di consumo individuale. Il passaggio ad un tipo di consumo detto “di qualità” è sicuramente da attribuirsi ad un’evoluzione del consumatore che, divenuto più esperto e più maturo, inizia a rifiutare di sottostare ai diktat della produzione. Ormai “autonomo” e “competente”, intraprende un dialogo con le imprese e con le merci, in cui egli non è più solo ricettore passivo ma pieno co-protagonista. Cosciente dei propri bisogni, sempre più complessi, cerca nei prodotti nuove qualità, tangibili e intangibili. Le frontiere del consumo vanno pertanto in una direzione che integra qualitativo e quantitativo, fisico e psichico, poli-sensualismo e semplicità. Il controllo di sé, il sapere disciplinare il corpo, si accompagnano al sapersi presentare bene, alla gestione dell’apparenza[8].

Con la seconda fase del post-moderno si è passati dal prodotto “mimico”, legato alla simulazione superficiale, ad un prodotto “maieutico”[9], capace di stimolare il consumatore a ritrovare un sé, integrando elementi materialistici e post materialistici.

La nozione di consumo implica due pratiche: la prima di tipo “fruitivo”, riguarda l’appropriazione dell’oggetto e rimanda quindi ad un comportamento di acquisto o d’uso; la seconda, di tipo “espressivo”, comporta l’utilizzazione del medesimo per esprimere e comunicare qualcosa di sé agli altri e quindi rimanda ad un comportamento simbolico.
Tramite l’uso dei beni, o meglio delle loro modalità d’uso, la “fruizione”, gli individui possono comunicare agli altri, e anche a sé stessi, qualcosa sulla propria identità. In seguito anche alla crisi moderna delle tradizionali strutture di riferimento e di socializzazione (il lavoro, la Chiesa, le istituzioni) si cerca di trovare un’identità attraverso i beni che si sceglie di consumare.
Nello sforzo, operato dai professionisti del marketing, di ampliare il campo della propria ricerca, centrale è stata la ridefinizione del ruolo ricoperto dal consumo, sempre più raramente considerato come variabile trascurabile della realtà del singolo individuo e sempre più spesso considerato come insieme di fenomeni diversi, complessi e culturalmente significativi.

“L’oggetto del consumo ha perso o diminuito la valenza di merce e di funzione di status symbol che possedeva nella società industriale, per assumere un “valore di consumo” e per aprirsi a un’infinità di valenze simboliche. Il consumo è diventato un modo di esprimere l’affetto, la nostalgia, la cultura, l’amore”[10].


Questa concezione del consumo ha consentito il superamento dell’idea tradizionale per cui ogni bene è qualcosa a se stante. Al consumo va invece attribuita una funzione comunicativa, intesa come modo in cui gli individui dichiarano, caratterizzano, confermano la loro presenza nel mondo e la loro appartenenza sociale. Il consumo diventa, quindi, un linguaggio i cui parlanti saranno i consumatori; i beni non verranno assunti singolarmente dai soggetti a seconda dei loro bisogni individuali, ma secondo principi di riconoscibilità sociale. Così, come nel linguaggio parlato le parole non escono dalla bocca casualmente ma si strutturano in frasi e le frasi in discorsi, nello stesso modo i beni si strutturano in sistemi composti a loro volta da sub-sistemi.

I diversi significati del consumo non possono essere compresi se non tenendo conto della natura esplicitamente sociale del processo dal quale si originano. Questo significa che ciascun prodotto porta inscritta al suo interno la sua storia, la quale viene messa costantemente in gioco in tutte le possibili relazioni. Nell’atto di comunicare, i prodotti, compiono azioni che interagiscono con le pratiche interindividuali e contribuiscono alla costituzione e alla trasformazione dei significati socialmente condivisi e dei ruoli e dei rapporti di ciascun individuo. I prodotti infatti non vengono utilizzati dagli individui per veicolare delle identità e dei significati già condivisi socialmente, quello che ciascun prodotto è in grado di esprimere si costruisce nell’ambito di un processo sociale di costruzione di significato. Il prodotto inoltre contribuisce, insieme agli attori sociali, a costituire e fare evolvere nel tempo la stessa situazione sociale dalla quale è generato. Non è dunque un semplice vettore comunicativo che contiene e trasmette dei significati predefiniti, è invece un testo, un soggetto concreto che si definisce nel corso della situazione d’interazione con l’individuo. Il suo senso va perciò ricercato nel contesto situazionale che vede interagire simultaneamente prodotti e consumatori e all’interno del quale si genera e incomincia a circolare liberamente nel sociale[11].
Le merci non possono entrare nel circuito di valorizzazione economica se non sono in grado di esprimere specifici significati; al loro senso economico deve corrispondere necessariamente anche un senso sociale e culturale. E’ proprio questa loro natura sociale che rende le merci estremamente polisemiche: hanno una loro propria identità specifica , ma sono potenzialmente disponibili per chiunque voglia appropriarsene e attribuirvi ulteriori significati. Sono pertanto in grado di concorrere alla produzione di un’ampia quantità di significati che variano a seconda dei diversi contesti sociali e delle differenti relazioni che gli individui possono instaurare con esse.
E’ stato Roland Barthes per primo a cercare di teorizzare il senso sociale delle merci mettendo in luce il duplice movimento che coinvolge le merci: da un lato, in quanto oggetti d’uso, sono sempre semantizzate perché “per il solo fatto che c’è società, ogni uso è convertito in segno di questo uso”, ma dall’altra “una volta costituito il segno, la società può benissimo ri-funzionalizzarlo, parlarne come un oggetto d’uso”[12].

I trends di consumo evidenziano quello che è il “grande macro-trend”: il forte eclettismo che sta sempre più caratterizzando il mondo del consumo odierno.

I consumatori tendono a diventare disincantati e a non fare più scelte rigide e aprioristiche, bensì piuttosto variabili e occasionali. Si osserva come il consumatore assuma sempre più comportamenti trasversali, non classificabili, né descrivibili con un unico modello di comportamento; non è infrequente che lo stesso consumatore acquisti prodotti di fascia alta e prodotti di fascia bassa a seconda della funzione d’uso. Questa natura attuale dei comportamenti di consumo li rende apparentemente conflittuali, mentre in realtà sono complementari e si armonizzano all’interno del percorso personale del singolo individuo. La causa di questo fenomeno è rappresentata soprattutto dal disgregarsi traumatico dei valori, delle norme e degli ambiti tradizionali di riferimento, che crea nel soggetto un bisogno ossessivo di definizione della propria identità. Il risultato è che in questo nuovo mondo senza “grandi modelli” di riferimento ciascuno si sceglie un “piccolo modello”: un gruppo socioculturale cui appartenere, o forse solo un look, che, una volta scelto, gli permetta di ritagliare all’interno della grande varietà dei modi d’essere e dei prodotti da acquistare quelli “che vanno bene per lui”. Questo trasforma ogni prodotto in un prodotto di nicchia: scompare cioè all’orizzonte l’oggetto che va bene per tutti, scompare l’automobile da famiglia, il motorino per i giovani, ma appaiono prodotti legati a specifiche esigenze e a specifici consumatori[13].



[1] Cfr. Eco U., Apocalittici e integrati: comunicazione di massa e teorie della cultura di massa, Euroclub, Trezzano sul Naviglio, 1996.

[2] Veblen T., La teoria della classe agiata, Einaudi, Torino, 1971.

[3] Cfr. Siri G., La psiche del consumo: consumatori, desiderio e identità, Franco Angeli, Milano, 2001.

[4] Cfr. Douglas M., Isherwood B., Il mondo delle cose, Il Mulino, Bologna, 1984.

[5] Cfr. Fabris G., Consumatore e mercato, Sperling & Kupfer, Milano, 1995.

[6] Cfr. Secondulfo D., La danza delle cose, Franco Angeli, Milano, 1990.

[7] Ibidem, op. cit. pg.145.

[8] Cfr. Fabris G., Consumatore e mercato, Sperling & Kupfer, Milano, 1995.

[9] Cfr. Secondulfo D., La danza delle cose, Franco Angeli, Milano, 1990.

[10] Di Nallo E., rivista Sociologia della comunicazione, 1984.

[11] Cfr. Hoshino K., Semiotic marketing and product conceptualization, 1987.

[12] Cfr. Barthes R., Miti d’oggi, Einaudi, Torino, 1974.

[13] Cfr. Fabris G., Consumatore e mercato, Sperling & Kupfer, Milano, 1995.

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